Elena Berriolo
17.01.1993 - 05.02.1993
La cosa strana non è che un lavoro come quello presentato da Elena Berriolo a Careof sia insolito per un'artista donna, perchè negli anni settanta molte donne avevano già considerato se stesse e il proprio corpo come un luogo su cui intervenire esteticamente (basti pensare a Gina Pane o Marina Abramovich) ma lo shock viene dal fatto che sino a questo momento Elena Barriolo, artista rabdomante e molto androgina, e forse addirittura maschile nelle sue installazioni quasi ingegneristiche per quanto l'intelletto e i marchingegni della tecnologia vi erano utilizzati e coinvolti, rappresenti questo corpone femminile su un tessuto posto a mo' di tenda (molto femminile anche questo) a latere di altre tende chiuse che assomigliano a tucul sospesi in aria alzabili ed abbassabili esattamente come le veneziane.
E, come se non bastasse, questa sagoma femminile presenta un sesso vistoso, appariscente, squademato tra le gambe aperte in posizione quasi ginecologica, se non fosse per la nota di romanticismo stridente dell'altalena su cui poggia.
E' inevitabile riandare col pensiero ai corpi primitivi di certe donnone mitiche come le Veneri del Mesolitico, le statuette di Willendorf o di Laussen di circa 30.000 anni fa. Dopo lavori come "Invisibile" tutto basato sulla conversione delle onde magnietiche in impulsi sonori in cui il fruitore cosiddetto degli anni Sessanta, definito ora "Guardatore", accede tra effetti fisici vari, e "Bibita" , specie di dialogo tra la pittura virtuale e quella reale, un allestimento di questo genere ha un effetto di sconcerto evidente.
E' un pò come dire: a quei tempi nel Mesolitico, la donna, come generatice di vita, e la casa-tenda erano le uniche leggi virtuali applicabili, le prime da cui tutto il resto è venuto, per cui oggi possiamo essere così sofisticati e postumani, e questa non è cosa di cui vergognarsi, ma è la prima storia che una donna artista ha il dovere di raccontare. L'artista che non si vergogna più di essere donna.
Maria Grazia Torri