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Organizzazione non profit per l'arte contemporanea

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Elisa Vladilo • Fosse per me farei la nuvola da qualche parte

C’è sempre qualcosa di disarmante nell’esercizio della leggerezza: ti sembra banale ciò che in realtà sta tutto lì, l’inizio e la fine, tutto lì in quella forma in quel colore. È un contenere tutto tanto da trascendere tutto. È l'essenza, la purezza che non cerca struttura è struttura.

La leggerezza è vicina al silenzio, è un atto di svuotamento, il piangere le lacrime non piante, il dire le parole non dette, l’essere in grado di percepire di cosa si è pieni.
La leggerezza ha il potere di farti sorridere senza dirti il perché: è la condizione dell’essere felici.
La leggerezza è l’essere nomadi, non appartenere ad un luogo pur abitandolo.
La leggerezza è un ridare a sé un’immagine purificata di sé. Ma viene da chiedersi, esiste uno spazio dove ritrovarsi? Esiste uno spazio dove riempirsi di leggerezza? "Lo spazio", scrive Perec, "è un dubbio: devo continuamente individuarlo, designarlo. Non è mai mio, mai mi viene dato, devo conquistarlo"
Ogni spazio necessita di essere nominato e nominare uno spazio significa, nel lavoro di Elisa, ascoltare le innumerevoli voci che lo "abitano", scoprirne le zone d’ombra per liberarle da ciò che è greve e costituisce un ostacolo nell’incontro con l’altro. Significa in altre parole coglierne l’essenza per restituirne attraverso il lavoro dell’arte una visione armonica. Nel fenomeno dell’immaginazione poetica, scrive Bachelard, "lo spazio ... non può restare lo spazio indifferente, lasciato alla misura ed alla riflessione del geometra: esso è vissuto e lo è non solo nella sua possibilità ma con tutte le parzialità dell’immaginazione".
Nel lavoro di Elisa le "parzialità dell’immaginazione" dipendono da una grammatica elementare fondata sul colore.
Puro e privo di sfumature, il colore è come una pelle, non lo scegli in qualche modo ti sceglie, ti sta addosso. Sottratto a qualsiasi lettura psicologica o simbolica, il colore di Elisa occupa porzioni di spazio, uno spazio in cui direbbe Bachelard, è "possibile gettarsi nel centro, nel cuore, nel nucleo centrale da cui tutto acquista significato e trae la sua origine". Tale spazio può essere la casa, il giardino, la strada o la pianura della steppa; può essere un muro, dei mattoni, un angolo. È tuttavia uno spazio in cui il colore tocca le profondità prima di smuovere le superfici, uno spazio che attraverso la poesia rinasce sotto il segno e il sogno della felicità, uno spazio che contiene una felicità che le è propria, qualunque sia il dramma che essa debba illuminare.
Berlino, 27 aprile 2001

Lucia Farinati