Giovanni Surace
10.11.1996 - 07.12.1996
Il gesto di "portare la TV in galleria" - come Giovanni Surace ha fatto all'inaugurazione di due personali, da Vigato ad Alessandria e da Careof a Cusano Milanino (MI) - non è propriamente ascrivibile alla tradizione del readymade.
In quelle occasioni i palinsesti prevedevano una partita di calcio intenazionale (ad Alessandria) e una messa solenne officiata dal Papa in Vaticano (a Cusano Milanino). Due veri e propri media events, per usare la terminologia di Dayan e Katz, ed è superfluo sottolineare quanto di artefatto e di costruito presiede all'elaborazione di un evento mediale.
Surace racconta di aver subìto - spettatore 'passivo' come gli altri all'interno della sua mostra - in queste occasioni "il fascino della diretta". […]
Il problema di molta arte del nostro tempo è stato quello di "portare la realtà in galleria" - nelle forme di "snobisme machinal" (è la formula usata da Baudrillard per Warhol) della linea Duchamp-Warhol-Koons, o nella pratica 'romantica' e passionale che dall'espressionismo tedesco, attraverso i diversi realismi figurativi arriva alle performance postorganiche di artisti come Orlan o Jana Sterbak.
Surace accende in galleria un frammento di neo-realtà, vi porta tutto il pathos di quel medium che ha reso ormai la realtà, già nel suo farsi, impasto insolubile di attuale e virtuale, la pervasività di una retorica del vedere che carica di emotività ogni particolare della visione, che ci fa vedere troppo. Surace 'documenta', però, questa "cerimonia dei media".
Il video che la racconta assume la consistenza e l'energia di un'opera autonoma, e la sua visione porta a modificare il giudizio sull'evento da cui è originato. L'inquadratura della telecamera che riprendeva la diretta vaticana di Careof coincide perfettamente con i bordi della proiezione del video che la raccontava.
Solo dalla qualità un po' nebbiosa delle immagini e dall'effetto straniante della sovrapposizione di due sonori (la voce del Papa e quelle dei visitatori di Careof) è possibile rendersi conto che stiamo vedendo "un'altra cosa", non quello che in effetti vediamo.
Poi cominciano ad affacciarsi le teste degli spettatori sul bordo inferiore dello schermo (quello in galleria, e il nostro mentre stiamo rivedendo l'evento), e portano sul monitor tutta l'intensità di un set - di un lavoro fuori-campo che non è visibile, ma determina tutta l'intensità del visibile qui e ora (là e allora).